martedì 24 dicembre 2013

Il mago e la politica

Il mago e la politica

Disponibile in lettura in formato pdf il mio saggio: Il mago e la politica in P. ARESTA (a cura di), Giordano Bruno, nolano e cittadino europeo, Atti della giornata di studi nel IV centenario del rogo - Grottaglie gennaio 2002, Scorpione ed., Taranto 2004.
ISBN: 9788880991236
E' possibile acquistare il volume anche on line, cliccando qui sotto:

Scorpione editrice

La ballata degli affumicati. Recensione di Alessandro Leogrande


La ballata degli affumicati

Taranto /Ilva Nel libro di Nistri le radici del disastro di oggi

di Alessandro Leogrande

tratto da: Corriere del Mezzogiorno, 17 dicembre 2013, p. 13

L'ultimo libro di Roberto Nistri, “La ballata degli affumicati” (appena pubblicato dalle baresi Edizioni dal Sud) è una carrellata nella storia recente della città di Taranto. Parafrasando Churchill, si potrebbe dire che Taranto è uno di quei posti che producono più storia di quanta ne possano digerire; ed è questo, forse, uno dei motivi che spiega la copiosa produzione libraria, recente e meno recente, intorno al racconto delle sue vicende. Ci sono stati libri riusciti e libri meno riusciti, libri scritti a distanza (spesso eccessiva) e libri che nascono dalle sue viscere. Nistri è uno dei maggiori interpreti dei fatti accaduti in riva allo Jonio nel Novecento: la gran parte dei suoi libri nasce da un corpo a corpo costante, complesso con la sua città. “La ballata degli affumicati” si colloca quindi su una lunga scia: appena un anno fa, ad esempio, era uscito per Scorpione “Tarentinità. Un'identità residua”. Nella “Ballata” si parla molto degli ultimi due anni di vita cittadina, dell'esplosione del caso Ilva e del nodo irrisolto salute-lavoro, del sistema Riva creatosi dentro e fuori la fabbrica. È una cronaca ragionata degli eventi che aiuta a raccogliere quanto, nella velocità del loro susseguirsi, rischia di andare smarrito. Ma la parte più interessante del libro è forse la prima, quella in cui viene ripercorsa la nascita del siderurgico, la costruzione di quella che il sociologo Domenico De Masi ha chiamato la “fabbrica più moderna del mondo più arretrato”. Molti dei mali tarantini si annidano nel cuore del Novecento, e per capire perché la vicenda appare oggi tanto intricata bisogna (anche) puntare gli occhi nel passato: non è vero, lascia intendere, Nistri che le uniche responsabilità del disastro ambientale siano quelle di “colonizzatori” venuti da fuori. Una parte di città non ha solo voluto la fabbrica: ha tratto vantaggi proprio da “quella” fabbrica, costruita in quel modo, ai bordi della città. “A distanza di mezzo secolo”, scrive Nistri, “ancora ci si chiede secondo quale logica volpina sia stato possibile posizionare un monstruum di tal fatta bocca a bocca con lo spazio abitato. Una costruzione all’incontrario: con l’area a freddo, meno inquinante, posizionata lontana dall’abitato, mentre l’area a caldo, la più tossica, veniva installata a ridosso delle case, tutte preesistenti all’insediamento, come il vecchio cimitero.” Intorno alla vendita dei suoli si scatenò una lotta feroce tra due cordate di imprenditori edili che attraversò il potere democristiano dell'epoca e le classi dirigenti della città. Nistri fa tutti i nomi, oggi in parte dimenticati, di quella storia decisiva. Altro dettaglio ben sottolineato nel libro: la percezione dell'inquinamento non è un fatto recente. Già nell'aprile del 1971 si tenne un convegno sul tema “Inquinamento ambientale e salute pubblica”, in cui l’assessore regionale Giovanni Di Lonardo proclamava: “Non accettiamo questa industrializzazione in maniera indiscriminata, senza salvaguardare la vita e la salute dei nostri concittadini”, mentre venivano presentate relazioni sulle emissioni notturne e sullo stato, già allora compromesso, del Mar Piccolo. Sempre nel 1971, Antonio Cederna scriveva un articolo, “Taranto strangolata dal Boom”, in cui stigmatizzava la cementificazione selvaggia e definiva quello tarantino “un processo barbarico d’industrializzazione. Un’impresa industriale a partecipazione statale, con un investimento di quasi 2000 miliardi, non ha ancora pensato alle elementari opere di difesa contro l’inquinamento e non ha nemmeno piantato un albero a difesa dei poveri abitanti dei quartieri popolari sotto vento”. Era possibile costruire un siderurgico diverso, e soprattutto una città diversa, intorno a quel medesimo siderurgico. Ma le cose sono andate diversamente, anche perché Taranto è stata spesso laboratorio della peggior politica del Meridione. Nell’aprile del ’77 veniva diffuso sul settimanale “Dialogo” un allarmante dossier sulla nocività, curato dal dottor Luigi Colapietro dell’Ospedale SS. Annunziata. Nel 1978 Marcello Cometti pubblicava un'inchiesta sull’inquinamento su “Produttività jonica”, mentre su “Rinascita” usciva un reportage di Paolo Forcellini, il quale, recatosi al rione Tamburi, annotava: “Il fetore del gas si sente già a distanza anche in una automobile con i finestrini chiusi”. A esplodere trent'anni dopo è un viluppo sociale-economico incancrenitosi decennio dopo decennio. Nel passaggio dal pubblico al privato, poi, molti fattori del quadro complessivo si sono ulteriormente aggravati, e per certi versi la fabbrica è divenuto un luogo ancora più impenetrabile. Oggi che può aprirsi una nuova fase, qualsiasi cosa voglia farsi di Taranto e della sua fabbrica, bisognerà ricordare la storia che ha generato una delle più gravi crisi ambientali che l'Italia ricordi. Quella storia è specchio dell'Italia e del suo funzionamento, e di come molte analisi lucidamente espresse nei decenni passati siano rimaste inascoltate.

giovedì 19 dicembre 2013

La ballata degli affumicati. Recensione di Gaetano De Monte


La ballata degli affumicati

Ovvero il racconto della città mutante, nell’ultimo libro di Roberto Nistri

di Gaetano De Monte


La ballata degli affumicati, è il titolo dell’ultimo pamphlet di Roberto Nistri, - storico,
filosofo, giornalista - da pochi giorni nelle librerie, Edizioni Dal Sud. Un diario di bordo, riconosce
lo stesso autore, scritto all’ombra della grande mammella siderurgica. Ma non solo. Perché nelle
centinaia di pagine scarse che compongono il libro, gonfio di citazioni filosofiche, letterarie, di film
e di canzoni, oltre la cinquantennale storia della fabbrica di morte che la fa da sfondo, c’è, in
massima parte, il racconto antropologico del cittadino di Taranto e della sua Provincia. Certo anche
e soprattutto nel rapporto con l’Ilva, la grande madre velenosa, ora. La grande balia statale, in un
tempo che sembra non sia mai stato vissuto, ma che in realtà ancora perdura.
Più che un libretto di storia, o un saggio di filosofia, è un’opera di antropologia, dunque, l’ultima
fatica dell’ex professore dell’Archita. Almeno a voler dare a quella parola, il senso proprio datole
dai sostantivi greci dalla quale deriva. Ovvero, άνθρωπος, ànthropos = "uomo" e λόγος, lògos = nel
senso di "studio". Quindi come discorso attorno all’uomo, visto da una molteplicità di angolature:
dal punto di vista sociale, culturale, fisico e dei suoi comportamenti nella società, quella tarantina in
generale, la siderurgica, nel particolare. Due, che fino a qualche anno fa erano legate da un
matrimonio che sembrava dovesse essere indissolubile, quello tra la fabbrica e la Città di Taranto,
appunto. Un sodalizio entrato in una fase di profonda frattura, forse irreversibile; anche se, non si sa
bene se per qualche prodigio di natura materiale o deficit culturale, la storia d’amore tra i veleni e
Taranto, - ne siamo certi - continuerà.
Almeno fino a quando non si conteranno su di un palmo una mano gli autori tarantini dal pensiero
lungo come lo storico Roberto Nistri, che nella Ballata degli Affumicati non si limita, e non si
arroga, il diritto di fare il punto, ma traccia delle linee: di fortuna, di movimento, di fuga. Teorizza
una cartografia dell’esodo per cercare di venire fuori da quella che definisce, “ la città mutante”.
Perché, scrive Nistri, citando Alessandro Baricco, “non si cambia nulla se non si acquisisce la
capacità di uccidere qualcosa. Non si costruisce quello che noi sogniamo come futuro se non
riusciamo, eterni mammoni, a staccarci da qualcosa che pure è stata parte di noi”. Dalla grande
mammella a cui Taranto doveva le ragioni del suo benessere, ed ora, i motivi di un disastro.
Bisogna saper osare, lascia intendere il Nistri degli ultimi anni, seduto rigorosamente dalla parte del
torto. Ed è per questo, forse, che il Professore ama ripetere, spesso, una citazione dal film francese
“L’odio”, diretto dal regista Mathieu Kassovitz: “questa è la storia di un uomo che cade da un
palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio
si ripete: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Ma il problema non è la caduta, è l’atterraggio,
si concludeva così, la scena iniziale di quel film; metafora perfetta per la parabola di Taranto e della
sua industrializzazione malata. Che lo storico usa per ribadire che occorre una rivolta del pensiero,
capace di riaprire il tempo. Per farla finita con lo stato di eccezione permanente. Con aziende dal
governo caporalesco. Con fabbriche di morte dall’identità preistorica, senza precedenti nella storia
delle relazioni industriali, in Italia.
Quasi un grido di dolorosa colpevolezza è quello che lancia l’autore verso la fine del pamphlet: il
pessimismo del presente, qui, lascia il posto all’analisi della bellezza perduta: “perchè apparteniamo
all’ultima generazione che ha vissuto, combattuto e amato sotto un cielo di Taranto non trafitto
dalle ciminiere. Perché abbiamo visto scomparire lidi e paesaggi omerici”. E ancora, “perché
abbiamo visto, ingoiato dall’Iri, dissolversi un patrimonio di 80 anni di cantieristica, l’unica
fabbrica che realmente poteva essere convertita dal navalmilitare alla nautica da diporto”. Parole
dure come pietre quelle che usa Nistri, per raccontare le biografie di alcuni uomini che hanno
condizionato, speculando, il nostro recente passato; uno di loro, viene raccontato, attraverso la
figura, dai più poco conosciuta, di immobiliarista, anche se in realtà faceva un altro mestiere. Di lui
è stato scritto che allo stesso tempo “poteva essere il Prefetto, il Sindaco, il Presidente della Camera
di Commercio, il Presidente dell’Associazione Industriali”. Peccato che avrebbe dovuto essere un
prete, innanzitutto. L’arcivescovo Guglielmo Motolese, che certo Nistri non considera il tarantino
del secolo, come invece, anni fa, lo incoronò, al termine di un sondaggio, un giornale locale. Con
buona pace della storia e della verità, evidentemente. Di un non tarantino, precisamente un toscano,
ma decisivo nelle vicende dell’industrializzazione, lo storico ne disegna nel libro il profilo di un
personaggio positivo: Alessandro Fantoli, dirigente Iri, poco più che trentenne che aveva militato
nella Resistenza in Toscana, descritto come un funzionario con la schiena dritta, illuminato,
cresciuto alla scuola di Adriano Olivetti, che si era trovato a giocare una scabrosa partita con vari
affaristi locali, prima di lasciare la città, richiamato dai democristiani romani, a loro volta sollecitati
da quelli martinesi, capeggiati dal fratello dell’arcivescovo, deputato Dc. Sarà pur vero che la storia
non si nutre di ipotesi, ma, forse se avessimo avuto più Fantoli e meno Motolese, avremmo avuto
una cittadinanza meno affumicata, chissà, sembra essere questo, il morale della favola. Per il resto
rimane l’antico, atavico dilemma, andare o restare. Di una cosa però Nistri, appare convinto, che “la
storia sarà raccontata da quelli che ritornano e da quelli che non ritornano”. Come dire che sarà la
fuga a dominare il prossimo secolo dei tarantini, “abbronzati e salati abitanti di un posto pieno di
tutto quello che manca”. E, comunque, “anche se non rimane nulla, è sempre bello scialare fra i due
mari”, ballando la danza degli affumicati.